I primi farmaci-copia di medicinali biologici si affacciano sulla scena europea intorno al 2005: la prima generazione di biosimilari includeva un piccolo numero di molecole ed aree terapeutiche limitate o anche vere e proprie nicchie, in un momento storico in cui decine e decine di small molecules - fra cui molti importanti blockbusters - andavano fuori brevetto, assicurando risparmi per il SSN che erano quantificabili in diverse centinaia di milioni di euro l’anno.

A modificare lo scenario in maniera importante è stato - dopo circa un decennio - l’arrivo dei biosimilari di seconda generazione, come anticorpi monoclonali o proteine complesse: la svolta a partire dal 2015, anno in cui sono arrivati sul mercato europeo i primi biosimilari di infliximab, anticorpo monoclonale anti-TNF e farmaco di importanza centrale nel trattamento di molte patologie su base infiammatoria. Successivamente molti altri biologici analoghi sono scaduti di brevetto, arricchendo la casistica dei biosimilari 2.0 tutti accomunati dal fatto di essere stati dei blockbuster, con fatturati mondiali di decine di miliardi di dollari all’anno.

L’Autorità regolatoria Europea (EMA) è stata la prima a introdurre una serie di norme e regole per la registrazione dei medicinali biosimilari, pubblicando una serie di linee guida che periodicamente aggiorna suddivise in linee guida generali e specifiche, le prime volte alla valutazione della qualità del medicinale prodotto, le seconde - suddivise per specifiche categorie/molecole - necessarie all’ottenimento dell’autorizzazione all’immissione in commercio.
EMA ha disposto che la “biosimilarità” venga dimostrata attraverso gli esercizi di similarità e comparabilità che prevede, studi preclinici e clinici, questi ultimi con confronto diretto tra il farmaco biosimilare ed il medicinale di riferimento volti a dimostrare un uguale profilo di efficacia e sicurezza. L’esercizio di comparabilità (comparability exercise) prevede studi preclinici e clinici.

In Italia il primo tentativo organico di governance per i biosimilari è stato compiuto con la Legge di Bilancio 2017 (L. 232/2016) che ha introdotto in particolare due norme: la prima in cui si ribadisce la libertà di scelta per il medico prescrittore; la seconda in cui si introducono regole precise per la realizzazione delle gare d’appalto pubbliche per l’acquisto dei biosimilari, fissando ben definiti meccanismi di competizione sttrsverso il modello dell’Accordo quadro. Ovvero: quando per un biologico i biosimilari sul mercato sono più di tre tali accordi quadro devono coinvolgere tutti gli operatori economici titolari di medicinali a base del medesimo principio attivo. Per questo le centrali regionali d’acquisto sono chiamate a predisporre un lotto unico per la costituzione del quale si devono considerare lo specifico principio attivo, la stessa via di somministrazione e stesso dosaggio. I pazienti dovranno dunque essere trattati, con uno dei primi tre farmaci nella graduatoria dell'accordo quadro classificati secondo il criterio del minor prezzo o dell'offerta economicamente più vantaggiosa, al fine di garantire un'effettiva razionalizzazione della spesa, associata ad un'ampia disponibilità delle terapie. La normativa prevede infine che caso di scadenza del brevetto o del certificato di protezione complementare di un farmaco biologico durante il periodo di validità del contratto di fornitura, l’ente appaltante, entro 60 giorni dall'immissione in commercio di uno o più farmaci biosimilari contenenti il medesimo principio attivo, deve aprire apre il confronto concorrenziale tra questi e il biologico originatore di riferimento.

Fin dall’inizio il principale punto di discussione per i farmaci biosimilari, è stato quello della sostituibilità automatica: a oggi le posizioni delle diverse Agenzie Regolatorie, AIFA, EMA e FDA, e anche delle varie società scientifiche trovano accordo sull’uso preferenziale dei farmaci biosimilari rispetto al medicinale originator nei pazienti naïve. Risultano maggiormente discordanti le indicazioni riguardo l’eventuale switch nei pazienti già in trattamento.

L’EMA ad oggi non ha espresso nessun parere riguardo la sostituibilità e di fatto ha demandato alle varie Agenzie nazionali una eventuale decisione in merito.

L’AIFA ha deciso di non inserire i medicinali biosimilari nelle liste di trasparenza non consentendo, di fatto, l’eventuale sostituzione automatica da parte del farmacista, affidando al clinico l’eventuale valutazione dello switch terapeutico. Nel proprio secondo Position paper sui biosimilari, del 2018, l’AIFA si è comunque schierata apertamente in favore dell’intercambiabilità fra biosimilari ed originatori, indipendentemente dalla condizione di paziente naïve al trattamento piuttosto che experienced, allineandosi a posizioni già assunte da altri Paesi europei più di dieci anni prima.

Nonostante l’Italia primeggi in Europa per l’utilizzo di farmaci biosimilari – registrando una costante crescita di questi ultimi a fronte di un analoga flessione dei corrispondenti originator si registrano ancora rilevanti differenze di consumo da una Regione all’altra. Da diversi studi sono emersi dati importanti sul sotto-trattamento da biologico: tra i 100.000 e i 300.000 pazienti potenzialmente eleggibili non verrebbero trattati con una terapia biologica.

Nonostante la bontà delle misure della legge 232/2016 che ha previsto lo strumento dell’accordo quadro le Regioni attuano un uso solo formale della normativa: esistono delibere prescrittive per il biologico a minor costo in quasi tutte le Regioni italiane e di fatto, nella maggior parte dei casi, a valle delle procedure di acquisto si ha una netta prevalenza di utilizzo del primo aggiudicatario, ovvero il prodotto a prezzo più basso, così che il secondo e terzo aggiudicatario restano inutilizzati nonostante, spesso, vi siano differenze di prezzo insignificanti.

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